Anche oggi parliamo di crisi economica, di rumors sulla manovra finanziaria e sulle scelte che stanno per essere intraprese dal nostro governo per fronteggiare l'enorme debito pubblico che grava sulla vita economica e sociale del nostro paese.
A quanto pare il Tesoro sta per intraprendere una massiccia vendita di partecipazioni statali e addirittura di opere minori del nostro ricco patrimonio artistico. Anche se si tratta di una scelta drammatica, è vero che qualcosa per ridurre il nostro mostruoso debito pubblico deve essere fatta e che, forse ormai l'unica cosa che ci resta è il patrimonio dello stato. Tuttavia bisogna tenere bene a mente che si tratta di beni dell'intera comunità, una ricchezza che appartiene a tutti noi cittadini di questo paese e che per colpe più o meno condivise ora siamo costretti a vendere . Certo nel caso si optasse per una ventita immediata il momento sarebbe quanto meno inopportuno, e il rischio di trasformare la vendita in sventita sarebbe molto alta. Difficilmente di fronte ad un paese attraversato da una lacerante crisi poltica ed economica, sempre più isolato in Europa ed attaccato dalla speculazione internazionale i compratori non approfitteranno della situazione cercando (e temo, ottenendo) prezzi più vantaggiosi in cambio di liquidità immediata. Vi è in più un altro rischio gravissimo: di fronte a vendite così consistenti e con una classe dirigente ormai allo sbando la possibilità di connivenze tra venditore e compratore è alto, magari al prezzo di qualche consulenza dorata o qualche ruolo di prestigio nell'organigramma futuro dell'azienda. Rischio accresciuto dal fatto che a svolgere la vendità sarà una classe politica ormai allo sbando e che vedendo sempre più i propri giorni contati, probabilmente sarà più sensibile all'offerta di un futuro dorato.
Anche se le vendite fossero fatte nel miglior modo e al maggior prezzo possibile, bisogna però essere ben consci che stiamo vendendo l'eredità lasciataci dalla generazioni del dopoguerra, autrice dello spettacolare boom economico che ha permesso il benessere economico diffuso della nostra società. Forse ormai si tratta di una scelta inevitabile, anche perché si vedono poche via di uscita alternative di fronte ad un'economia stagnante e ad un debito pubblico che ormai si aggira attorno al 119% del nostro PIL. Ma se, come oggi sembra apparire inevitabile, la vendita di una parte del patrimonio pubblicio è l'unica via d'uscita, occorerrà accompagnare tale operazione con una profonda riflessione nazionale per non commettere più gli stessi errori del passato. La politica, il sindacato, l'industria e l'intera società dovranno comprendere che un'epoca è finta e che se ne apre un'altra piena di incertezze e di rischi in cui dovremo impegnarci tutti, nessuno escluso, per ricostruire su solide basi l'avvenire economico del nostro paese. Di fronte al fallimento di un'intera classe dirigente che negli ultimi quarant'anni non ha fatto altro che rovinare questo paese, si impone una discontinuità oltre che di facce e di nomi anche di mentalità, non solo nell'establishment ma anche nel cittadino comune.
Se non ci sarà una riflessione ed un cambiamento di rotta netto e chiaro, se il il paese non modificherà la propria cultura economica e le proprie abitudini, ci ritroveremo tra non molto tempo nella stessa medesima situazione, questa volta però senza più l'eredità lasciataci da chi ci ha preceduto, a quel punto la situazione sarà davvero drammatica, ma questa ovviamente è solo un'opinione.
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