mercoledì 26 ottobre 2011

La moglie di Bossi

Mentre il paese affonda, la questione che accende gli animi del nostro parlamento è la moglie di Bossi. Oggi a Montecitorio si è sfiorato lo scontro fisico tra il deputato Claudio Barbaro del Fli e Fabio Raineri della Lega. In un momento così tragico e drammatico sarebbe necessario che il parlamento si preocupasse di ben altri problemi, superando le proprie divisione interne e i rancori personali per servire al meglio il paese in questa ora così delicata. Ormai non siamo più sull'orlo del baratro ma ci stiamo precipitando dentro, la nostra classe dirigente dovrebbe cercare almeno di attuttire il colpo e non continuare come nulla fosse, ma questa ovviamente è solo un'opinione.

Pane, pace, terra

"Pane, pace, terra" queste erano le richieste del popolo russo poco prima della Rivoluzione russa del 1917 e nella loro semplicità sembrano più attuali che mai. Oggi Ezio Mauro nel suo editoriale su Repubblica ha scritto  mentre i governi cadono regolarmente quando una fase politica si esaurisce, solo i regimi non sanno finire, una posizione ampiamente condivisibile.
E' possibile che un suolo uomo, e i suoi scagnozzi, affondi il lavoro e i sacrifici fatti da milioni di persone per cinquant'anni.? Lui (loro) non se ne vuole andare, la democrazia si è inceppata, nessuno ha il coraggio e la lungimiranza politica di prendersi la responsabilità di cambiare rotto. Di fronte ad una situazione del genere il presidente della Repubblica non è impotente e potrebbe, data l'eccezionalità del momento, adottare misure eccezionali e sciogliere le camere o, per lo meno mandare un messaggio chiaro e netto ai parlamentari chiedendo loro di sfiduciare berlusconi e appoggiare un governo di salvezza nazionale. I padri costituenti hanno consegnato alcuni poteri al Presidente della Repubblica proprio per momenti come questo, ma lui non li utilizzerà. Quest'intera classe politica ha completamente fallito e visto che da sola non se ne andrà mai, purtroppo l'unico modo per salvare l'Italia e l'Europa è quella di una rivoluzione, violenta o no, che liberi il paese dalla cappa di malgoverno, immoralità e corruzione con cui è governato. Le rivoluzioni però non si fanno su internet, sui blog, su FB, si fanno in piazza, si fanno con sollevazioni popolari, con la ribellione degli apparati di sicurezza e dell'esercito. Il principio rivoluzionario per cui quando un popolo si stufa cambia con le buone o con le cattive la propria classe dirigente è l'unica via per farci uscire da questa situazione. E quindi tempo di scendere in piazza massicciamente, ma non per un giorno o due, ma per rimanerci, e se nulla cambia essere disposti ad occupare anche fisicamente i palazzi del potere per cacciarne gli occupanti. Questo suona eversivo e non democratico, ma la situazione attuale è talmente drammatica che purtroppo non vedo altre vie d'uscita, ma questa per fortuna è solo un'opinione.

Fine sciopero

Questo blog era entrato in uno sciopero silenzioso in seguito alla decisione del governo di riproporre il DDL intercettazioni ma la situazione è talmente grave che non è più possibile tacere. Quindi da oggi riprendiamo con regolarità ad esprimere le nostre opinioni.

domenica 16 ottobre 2011

Avanti verso il cambiamento?

A quanto pare serpeggia un certo malumore tra le forze dell'ordine che ieri si sono trovate ad affrontare i disordini di Roma. Ben lontani dai giorni di Genova in cui vi furono episodi indegni di una polizia di un paese democratico e civile questa volta anche la polizia, almeno ideologicamente, si schiera con gli Indignati civili. Quando le forze dell'ordine cominciano a parteggiare per le manifestazioni che chiedono un cambio di rotta di solito si sta preparando qualcosa di molto grosso. Forse la rivoluzione che questo paese non ha mai avuto sta per accadere? Difficile da dire, resta il fatto che il paese reale appare sempre più lontano sia dalla classe che lo governa sia dal cosidetto blocco antagonista che appaiono sempre più dinosauri cristallizzati su logiche e modi soprassati. Il fatto che lo stesso Mario Draghi abbia espresso simpatia per gli Indignati è un'importante indicazione di come i rapporti di forza stiano cambiando. E' tempo di una svolta, è tempo di una nuova primavera di questo paese e dell'intero mondo occidentale, il futuro è nostro, bisogna solo afferrarlo e finalmente avremo la possibilità di costurire il paese che sognamo, ma ovviamente questa è solo un'opinione.

sabato 15 ottobre 2011

I soliti (utili) idioti

Ci risiamo... ecco di nuovo il teppismo dei black bloc per cancellare l'effetto di una protesta civile e regionevole. Purtroppo non credo che essi siano espressione diretta della volontà di parte del potere di screditare le istanze della protesta. E' più probabile che questi gruppi siano "non bloccati" in tempo dalle forze dell'ordine e lasciati agire per un po' aspettando che facciano danni plateali per poi reprimerli o che adirittura una parte dei loro leader sia composta da infiltrati, come avvenne nelle Brigate Rosse. La bassa manovalanza di questi gruppi è invece probabilmente composta purtroppo da utili idioti che pensano davvero di combattere il sistema, mentre invece lo rafforzano e lo aiutano.
Ancora una volta l'area antagonista si sveglia all'interno di grandi movimenti popolari sani e vigorosi, una sorta di parassita che guasta e infesta i movimenti da cui potrebbe nascere una nuova idea di Italia e di sviluppo. Non è possibile andare avanti a tollerare chi continua a screditare idee e battaglie giuste per giocare mezza giornata alla rivoluzione e alla guerriglia. Dove sono i black bloc (o chi per essi) nella quotidianitià? La loro guerriglia contro lo stato, le istituzioni e il capitalismo viene fuori soltanto in manifestazioni pensate, volute ed organizzate da altri, perché? Francamente non se ne può più, che si tratti di infliltrati o di autentici idioti non importa, il danno che stanno arrecando è pari a quello della classe dirigente: incalcolabile.
La violenza può anche essere in alcuni casi un'utile (anche se dolorosa) arma politica, ma sicuramente non è questo il modo e il contesto giusto. Gli antagonisti non fanno, nel bene o nel male una rivoluzione o una guerriglia con obiettivi politici concreti,  ma solo teppismo vandalico per sentirsi ribelli e rivoluzionari per un giorno.  
Fino a quanto i grandi movimenti della società civile non saranno strutturati a sufficienza per allontanare (anche fisicamente) questi (per fortuna pochi) idioti difficilmente le idee alternative di economia e di sviluppo riusciranno ad attecchire nelle nostre società. E questo è un gran peccato, non tutte le idee sono buone e realizzabili, ma sicuramente sarebbe opportuno un maggior riequilibrio dell'assetto economico e sociale delle democrazie occidentali.
La violenza come teppismo è solo un esercizio di profonda stupidità, utile sponda proprio per gli avversari che gli antagonisti dicono di voler combattere. Gli antagonisti, o chi per essi, non lo capiranno mai, il compito di isolarli e di farli sparire dalla scena pubblica sta proprio ai movimenti in cui essi si annidano. Fino a quando i movimenti non si tramuteranno in organizzazioni capaci di delimitare in modo chiaro i confini tra chi è dentro e chi è fuori, saranno deboli di fronte a gruppi ben organizzati e strutturati come quelli degli antagonisti o delle lobby economiche, ma questa è solo un' opinione.

Gli Indignati

Sta cominciando ora la protesta degli Indignati a Roma, un movimento globale con richieste glocali che è ad oggi l'unica risposta organizzata alla speculazione internazionale e alle grandi corporation multinazionali.
L'occasione è importante ma la debolezza del movimento è ancora estrema, e (per ora) gli Indignati non appaiono in grado di incidere attivamente sull'economia e sulle politche dei governi e delle banche centrali.
Le tante anime che lo caratterizzano rendono il movimento variegato e fantasioso ma ne costituiscono anche la principale debolezza. Così come il movimento No Global, se gli indignati non saranno in grado di darsi un'organizzazione permamenente, una stuttura organizzativa e una chiara ideologia difficilmente riusciranno a cambiare il sistema. Il movimento deve tramutarsi in organizzazione politica per avere una qualche possibilità di veder realizzate le proprie istanze. Apparato, ideologia, stuttura appaiono parole datate nel mondo della rete e dei flash mob ma storicamente sono gli unici strumenti che hanno permesso di cambiare i rapporti di forza e di rivoluzionare economie e società. Senza questo passaggio la protesta rischia di rimanere tale, anzi solo un'inutile valvola di sfogo incapace di agire concretamente sui meccanismi che governano le nostre vite. Purtroppo non basta dire dei no e sognare un mondo diverso e più equo, bisogna avere una teoria alle spalle, una visione del mondo precisa, degli obiettivi concreti e le ricette per raggiungerli.
Ben vengano le manifestazioni globali come quelle di oggi, sperando che costituiscano l'inizio di qualcosa di più ampio e non il punto di arrivo.

venerdì 7 ottobre 2011

Obama è "un cafone"?

Ieri sera Bruno Vespa di fronte ad un Rutelli che si diceva preoccupato dell'assenza dell'Italia nei ringraziamenti per la guerra libica formulati lo scorso 21 settembre dal presidente Obama, ha sentenziato che "Obama è stato un cafone". Stupisce detto in un paese messo alla berlina in tutto il mondo proprio per la cafonaggine del  Presidente del consiglio e le sue continue gaffe diplomatiche. Solo che il centro-destra dice che questi comportamenti sono solo un modo di Berlusconi di intrattenere rapporti personali con i potenti del mondo e di fare una diplomazia sdoganata dalle vecchie forme.
La pochezza a livello internazionale di Berlusconi e della sua coalizione di governo è tale che ormai l'Italia non conta più nulla nello scacchiere geopolitico mondiale, anche nel caso essa partecipi con mezzi e risorse agli interventi dei potenti del mondo. In Libia di fronte ai massacri perpetrati dal regime, l'imbarazzante tentennamento di Berlusconi nell'abbandonare e nello schierarsi, insieme agli altri paesi europei, contro "l'amico" Gheddafi, è stata letta da molte cancellerie europee come l'ennesima prova dell'inaffidabilità dell'Italia e la sua differenza rispetto le altre grandi democrazie occidentali. Nella questione libica si uniscono due partite una economica l'altra ideologica, e noi, grazie al nuovo modo di fare diplomazia di Berlusconi le abbiamo perse entrambe. Francia e Gran Bretagna stanno approfittando del proprio ruolo a guida della coalizione per sostituirsi all'Italia come primo partner commerciale della Libia, mentre, dal punto di vista politico, la nostra rilevanza nel Mediterraneo è ormai praticamente nulla. Obama non si è scordato a caso di ringraziare l'Italia, voluto o non voluta, la sua dichiarazione certifica uno stato di cose: l'Italia guidata dal "cafone" Berlusconi non conta più nulla a livello globale, ma questa è solo un'opinione.

E' morto il profeta dell'era informatica.

La notizia che ieri Steve Jobs si è spento si è ormai diffusa in ogni parte del globo. La maggior parte dei commenti sono stati un ricordo di chi era Jobs e di che cosa ha fatto per l'umanità e per lo sviluppo dell'America. Ma vista la reazione mondiale alla sua scomparsa è interesse capire invece che cosa ha rappresentato. Tra i grandi innovatori che hanno cambiato la nostra vita Jobs non è stato uno dei più importanti, non ha inventato prodotti nuovi o fatto scoperte sensazioniali, ha semplicemente saputo rendere appetibili e trendy prodotti già disponibili da tempo sul mercato. In questo è stato abilissimo, ma difficilmente sarebbe ricordata con tanta commozione da milioni di persone se gli si riconoscesse solo questa capacità. La reazione del mondo è stata sorprendente, fiori davanti agli Apple store, messaggi su internet di persone che si sentono perdute, giornalisti affranti che ne tessono la memoria. Una reazione emotiva di simili proporzioni non è legata all'importanza effettiva di Jobs, ma al ruolo che ha saputo incarnare molto bene: il guru della nuova era digitale, una sorta di profeta del nuovo che avanza. Le sue presentazioni dei prodotti apple avevano un non so che di messianico mentre presentava i nuovi nati della nuova casa di Cupertino. E i consumatori lo seguivano con passione, aspettando di volta in volta le nuove rivelazioni del "profeta".
Steve Jobs era essenzialmente un comunicatore, e effettivamente ha saputo rendere più comunicativa una tecnologia che era ostica e difficile da utilizzare. Ha saputo cogliere al massimo il potere della moda, dell'essere trendy, della forma oltre che della sostanza.

La reazione dell'opinione pubblica è quella dei grandi lutti collettivi, delle persone che hanno incarntato un simbolo o un'epoca. Questo smarrimento collettivo è proprio di funerali come quello di Lady D., di Ghandi, di Mao o di Ronald Regan. In questo Steve Jobs è riuscito ad incarnare, forse anche più di Bill Gates, il lato positivo della rivoluzione informatica, curando l'estetica e il modo di presentare i prodotti informatici e trasformandoli così in oggetti di design e di culto. In questo è stato davvero un innovatore.
Il mondo piange il suo "profeta dell'era digitale", ma resta il dubbio se Jobs sia stato davvero così importante da meritare tanta emotività, ma di fronte a milioni di persone che sentono il lutto, questa non può che essere solo un'opinione.

mercoledì 5 ottobre 2011

Aspettando Godot

Massimo Giannini di Repubblica l'ha definito "uno spettacolo surreale" ed effettivamente proprio di questo si è trattato. Un ministro della repubblica che auspica una caduta del proprio governo  per migliorare la situazione e la credibilità finanziaria del proprio paese non si era mai visto. La questione resta sempre la stessa, quanto potrà ancora resistere Berlusconi e la sua recalcitrante maggioranza? E soprattutto quanto ancora l'opinione pubblica italiana tollererà che si ipotechi il proprio futuro per far sopravvivere una classe politica da cui ben pochi italiani si sentono rappresentati? L'unica soluzione possibile data la situazione appare un grande movimento di piazza che faccia capire a questo governo e questa maggioranza che il tempo dei giochi è finito. Una piazza però che ad oggi se non deserta appare animata solo da relativamente pochi volenterosi, insufficienti a coinvolgere nella protesta i milioni di italiani sempre più arrabiati e preoccupati ma che per ora non sono ancora così esasperati da intervenire direttamente sulla scena pubblica.
Il paese sembra in attesa che capita qualcosa, che arrivi un Godot dal nulla e risolva la situazione. Con questa classe dirigente non capiterà, l'unica possibilità di uscira da tutto questo è che siano i cittadini ad attivarsi per cambiare le cose, riprendendosi momentanamente il proprio potere sovrano prima di delegarlo nuovamente a qualcuno.
Come diciamo dall'apertura di questo blog, la situazione è grave, forse disperata, ma fino a quando saremo governati da irresponsabili non potremo mai neanche pensare ad una soluzione, ma questa è solo un'altra opinione.

martedì 4 ottobre 2011

Le tante verità dietro l'uscita della Fiat da Confindustria

La Fiat esce da Confindustria e Marchionne attacca duramente le posizioni prese negli ultimi tempi da Emma Marcegaglia, a parte l'indubbia rilevanza della notizia in se vi sono all'interno di questo cambiamento degli assetti alcune importanti chiavi di lettura per comprendere meglio il nostro tempo.
Innanzitutto è evidente che Fiat non è più un'azienda italiana ma ormai una multinazionale globale del tutto insensibile agli interessi del paese. Da una parte questa è una buona notizia perché Fiat è diventata finalmente un'impresa autonoma dall'aiuto statale, dall'altra però vuol dire che i vantaggi legati ai successi della Fiat per l'Italia sono davvero maginali. Bisogna smettere di pensare che Fiat sia un'azienda italiana e darle a livello nazionale un risalto e un'importanza che non merita più.
La seconda è che la Fiat di fatto continua ad appoggiare indirettamente il governo Berlusconi pur di ottenere vantaggi locali. L'accusa di Marchionne alla Marcegaglia "fa politica" appare ridicola se formulata da chi ha preso aiuti pubblici dovunque ha potuto, parafrando Cavour la Fiat non sembra proprio seguire il principio della "libera impresa in libero stato".
Il terzo spunto di riflessione è l'estrema debolezza del sindacato di fronte agli attacchi delle grandi realtà industriali: un sindacato nazionale ben poco può fare di fronte ad aziende che agiscono a livello mondiale e che possono utilizzare costantemente il ricatto della delocalizzazione per imporre ai lavoratori le proprie condizioni. Grandi corporation e speculatori internazionali agiscono a livello e con risorse globali, stati e sindacati a livello nazionali, una lotta impari che non può finire con la vittoria dei primi sui secondi ,e così velocemente sta venendo meno l'equilibrio sociale che negli ultimi cinquant'anni ha regalato un benessere diffuso nei paesi occidentali. Di fronte a questo rischio, l'unica via di uscita è far fare un salto qualitativo alle forme organizzative sindacali e nazionali, ripescando il "proletari di tutto il mondo unitevi...", termine che malgrado gli anni oggi appare più attuale che mai, ma questa è solo un'opinione.