giovedì 29 settembre 2011

Continua il contagio della primavera araba

La trasformazione del mondo arabo continua a correre verso l'ignoto, ma ormai appare un processo epocale inarrestabile, una rivoluzione politica e culturale insieme dai caratteri inediti e che unisce forme e modi dei movimenti del '68 alla rivoluzione francese. Fino ad oggi il tentativo di cambiare radicalmente le società arabe, se si guarda ai veri e propri cambi di potere, ha avuto pochi effetti sostanziali, a parte il Libia (dove però il successo dei ribelli si deve all'appoggio militare della NATO). Tuttavia i cambiamenti culturali sembrano anticipare una trasformazione politica che oggi sembra ormai inevitabile.
Questa volta la notizia è che re Abdullah ha annullato la condanna della donna che avevo osato infrangere il divieto di guida. Può apparire un fatto di poco conto rispetto ad interi paesi in rivolta, ma se si unisce questa notizia a quella di qualche giorno fa  relativa all'introduzione, sempre in Arabia Saudita, della possibilità per le donne di votare e di essere elette per la Shura, si denotano i confini di una vera e propria ondata di riforme in uno dei paesi più conservatori del mondo arabo. Le spinte al cambiamento appaino talmente forti da indurre anche regimi solidi e, almeno per ora, apparentemente inscalfibili a dover concedere apertura riformiste. Se queste riforme si tramuteranno in una vera rivoluzione, solo il tempo potrà dircelo. Quello che però appare sempre più evidente è che il vento di riforme partito dalla Tunisia e dall'Egitto non ha frontiere e per ora sembra inarrestabile. Una primavera dei popoli arabi innimaginabile solo l'anno scorso, le cui conseguenze utlime per ora sono ancora imprevedibili ma di cui si iniziano a vedere alcuni effetti. Ma questa è solo un'opinione, nulla di più, nulla di meno.

mercoledì 28 settembre 2011

Alessio Rastani, la verità fa il giro del mondo

Alessio Rastani, broker indipendente ha lasciato di stucco non solo i giornalisti della BBC ma anche il pubblico di mezzo mondo dichiarando in diretta TV che "ogni notta va a dormire pregando in un'altra recessione" o che "credere che i governi possano risolvere questa situazione è solo una speranza. I governi non comandano il mondo. Goldman Sachs comanda il mondo". Ora ci sono già alcuni che mettono in dubbio l'autoenticità di Rastani e sostengono che si tratta di un membro degli Yes Men, un gruppo che si diverte ad impersonare membri di importanti corporation per metterle in imbarazzo pubblicamente, in realtà questo è un fatto di poco conto. Vero o falso che sia Rastani ha detto quello che ogni broker pensa e sa. Ricordo ancora l'intervista realizzata per il bellissimo documentario " The corporation" in cui Carton Browm, un operatore di borsa, dichiarava tranquillamente e senza esitazioni che mentre gli aereoplani colpivano le Torri gemelle l'11/9 "la prima cosa che mi venne in mente fu 'a quanto sta l'oro?' ". Non si trattava di uno scherzo non si trattava di propaganda. Il mercato oggi è così, lo insegnano nelle università. Che sia un personaggio vero o no, Rastani ha mostrato al mondo il marcio dell'economia, la mentalità distuttiva della speculazione che guadagna quando l'economia reale e interi paesi precipitano nel caos e falliscono. E purtroppo è altrettanto vero che Goldman Sachs ormai comanda il mondo, o almeno controlla il paese più potente al mondo. Gli indizi sono tanti e raccolti da opinionisti diversi, uno fra tutti: il principali finanziatore della campagna sia di Obama che di McCain era proprio Goldman Sachs: chiunque vincesse loro vincevano e ormai scta diventando una costante della politica americana. Il pregio di Rastani ed aver mostrato il "re nudo", ricordando a tutti qual è il pericolo e chi è il nemico. Quello che ha detto non deve restare uno shock passeggero o opinabile, ma deve essere interiorizzato e far comprendere a più persone possibile quale sia la triste realtà dell'economia contemporanea e che se non riusciremo a cambiarla rischiamo di essere tutti quanti distutti. La speculazione va fermata, ben venga la Tobin Tax (se mai riuscirà a vedere la luce) ma purtroppo ormai non è più sufficiente, prima o poi bisognerà fermare con le buone o con le cattive chi sta distuggendo per speculazione il futuro di intere generazioni, ma questa è solo un'opinione.

25 aprile senza pace

Al centro-destra proprio non va giù festeggiare la Festa della liberazione, e così ecco che il governo ha accolto la raccomandazione del deputato PDL Fabio Garagnani di sostituire il 25 aprile con il 18 aprile, giorno delle elezioni politiche vinte nel 1948 dalla DC guidata da Alcide De Gasperi.
Si tratta solo di una proposta che probabilmente non avrà nessun effetto reale, ma testimonia come una parte del centro-destra non riesca propio a pensare al nazi-fascismo come il male assoluto da cui un'alleanza variegata che andava dai cattolici ai comunisti, dai monarchici agli azionisti, lottò inseguendo il sogno di un paese moderno, democratico e libero. La lotta fu comune da parte delle tante anime del paese, e proprio per questo sforzo collettivo l'Italia riuscì a preservare dopo la guerra parte della dignità nazionale persa negli anni del regime fascista e con la vergogna dell'8 settembre.
Per giugnere a quel 25 aprile ci furono quasi due anni di sanguinosa guerra civile che imposero grandi sacrifici agli italiani. Ben più difficile immagine quali sacrifi e quali eroismi portarono all'inevitabile vittoria (visti la spartizione dell'europa decisa a Yalta) del 18 aprile 1948. Fu una vittoria elettorale storicamente importante per il paese, ma le basi per la possibilità di quelle elezioni e il quadro di regole condivise dai cattolici come dai comunisti erano nate prima con la costituzione repubblicana frutto proprio di quel fatidico 25 aprile.
E chissà che presto a fianco del 25 aprile non si aggiunga un'altra data per festeggiare e ricordare il giorno in cui questo paese si sarà finalmente liberato della classe politica che lo ha portato al disastro, ma questa volta più che un'opinione è una speranza.

martedì 27 settembre 2011

Il bacio del Padrino

Guardando il video girato nel quartiere Barra di Napoli e pubblicato ieri online in esclusiva dall'Espresso (Il bacio del Padrino) non si può che essere d'accordo con quanto detto ieri da Lucio Caracciolo al termine del programma l'Infedele di Gad Lerner, vale a dire che è difficile riformare il paese e riportarlo ai livelli internazionali che gli competono se abbiamo intere parti del paese in mano alle organizzazioni malavitose. Un fattore inedito in Europa e che fa assomigliare alcune parti del nostro paese più ai narco-paesi dell'america latina. Purtroppo è opinione diffusa, anche tra persone istruite e legalitarie, che le organizzazioni criminali comunque creino una certa ricchezza e producano PIL anche se in nero, ma questa è una vera e propria assurdità. La criminalità organizzata vive nelle pieghe dell'inefficienza, guadagna su appalti truccati, su ospedali inefficienti, su grandi opere che non si realizzeranno, sull'assenza di meritocrazia, sulla corruzione della classe politica che non fa così l'interesse comune ma quello delle organizzazioni criminali. Non siamo in Colombia o Venezuela dove l'attività principale dei cartelli è l'esportazione di droga, e di conseguenza crea valore, nel nostro caso le organizzazioni mafiose sono solo parassitarie delle inefficienze dello stato. Se per assurdo lo stato sparisse le varie mafie italiane perderebbero gran parte dei propri guadagni e forse non sarebbero in grado di organizzare null'altro che una specie di stato feudale. Di fatto esse impoveriscono lo stato, e di conseguenza l'intera collettività, per guadagnare e redistribuire tra i propri affiliati i propri introiti. La criminalità organizzata non produce richezza, ma la sottrae a tutti noi, soprattutto ai cittadini del meridione che sono costretti a vivere in uno stato fatisciente proprio per colpa dell'inefficienza generata dalla criminalità organizzata e dai suoi rapporti sempre più stretti con la classe politica.
Una parte dell'opinione pubblica del meridione deve rendersi conto che rinunciando ai piccoli vantaggi derivanti dalla distribuzione di favori e di denaro delle organizzazioni criminali e combattendo questo sistema vivrebbe finalmente in un paese europeo, con scuole ed ospedali funzionanti, con strade efficienti, con un'economia reale in cui i propri figli e nipoti non siano costretti ad emigrare per trovare lavoro.
La lotta alle organizzazioni criminali non si può purtroppo imporre dall'alto ma può partire solo dai cittadini meridionali, e senza questa lotta di legalità non ci potrà mai essere la riforma di questo paese.
Il Mondo, l'Europa, e buona parte del paese chiedono questo cambio di regime, così non si può più andare avanti e siamo nell'attuale situazione econimica anche perché una parte del debito pubblico è il frutto proprio di questo travaso di  ricchezza dallo stato alle organizzazioni criminali e alle inefficienze che ne conseguono. Ormai è tempo che i cittadini meridionali conniventi con le mafie scelgano dove vogliono state, con l'Europa e con lo stato italiano o con il governo delle organizzazioni criminali, una scelta imposta dai tempi e dalla crisi stessa della nostra nazione e imprescindibile per un piano di rilancio dell'Italia.
Finché vedremo immagini come quelle mostrateci dall'Espresso non potremo mai dire di vivere in un paese civile ed europeo, sta a chi vive in queste realtà rendere impensabili immagini come queste, ma questa è solo un'opinione.

lunedì 26 settembre 2011

La Chiesa batte un colpo

La Chiesa Cattolica dopo un lungo silenzio che ha lasciato perplessi non soltanto una quota consistente dell'opinione pubblica ma anche della propria base, si è espressa contro la deriva morale e culturale del paese. La Chiesa quindi si schiera di fatto contro il governo e gli ideali che esso rappresenta: la lista dei sostenitori istituzionali e non di Silvio Berlusconi si assottiglia ulteriormente e chissà quanto potrà ancora resistere arroccatto ad un Palazzo Grazioli il cui clima di questi giorni deve essere sempre più simile a quello che si respirava nella cancelleria del Reich negli ultimi giorni del Terzo Reich.
In un paese come l'Italia la presa di posizione della Chiesa, da sempre vera e proprio autorità alternativa a quella laica e civile, è una notizia che farà tremare molti ma che probabilmente difficilmente produrrà risultati nell'immediato futuro. Resta da chiedersi quanto sia ancora influente la voce di una Chiesa troppo silenziosa e troppo compiacente con un sistema e una cultura, impersonificate da Berlusconi, antitetiche alla propria storia e alle proprie idee. Ora che il sistema berlusconiano appare sul punto di disintegrarsi la Chiesa prende posizioni, ma è la Chiesa stessa che deve chiedersi che cosa rimanga della sua influenza su un paese la cui la società e la cui cultura sono state trasformate anche da quella tv commerciale verso cui le gerarchie cattoliche non si sono mai schierate più di tanto. E viene da chiedersi, nel giorno in cui il vescovo di Grossetto dichiara che è più peccattore Vendola per la sua dichiarata omossessualià che Berlusconi con le sue presunte orge che pare coinvolgano anche minorenni, se la Chiesa riesca a cogliere l'enormità dell'immoralità di cui è stata a lungo silenziosa connivente, animando anche un anticlericalismo che era ormai assopito da lungo tempo. La Chiesa italiana dovrò forse ricostuire prima se stessa e la sua immagine prima di tornare ad essere un attore autorevole sulla scena pubblica del nostro paese, senza questo proccesso di rinnovamento rischia che il suo prestigio tra gli italiani sia travolto da quello che si prefigura come il crollo della Seconda Repubblica, ma questa ovviamente è solo un'opinione.

Verso il default della Grecia

Ormai a meno di imprevisti e cambi repentini dell'ultimo minuto la Grecia andrà in default. Dopo mesi in cui analisti, cancellerie europee e BCE escludevano categoricamente la possibilità di un default del debito greco, ora questa non è più solo un'opzione possibile ma una realtà che probabilmente si concretizzerà a breve. Tutti i segnali vanno in questo senso: parlare di default non è più un tabù, la BCE ha abbassato i tassi e il G20 ha varato un maxi-piano per salvare l'Euro e le banche di eurolandia, piano e manovre fatte per mettere in sicurezza l'economia europea prima del crack della Grecia.
Di fronte a tutto questo non c'è altro da fare che prendere atto del fallimento dell'Europa. I leader e le istituzioni europee non sono riusciti a risolvere i propri problemi dell'euro zona, l'Europa ha dimostrato di non avere la leadership strategica e politica per portarsi da sola fuori dalla crisi. Le risorse messe in campo dal vecchio continente non sono state sufficienti e per di più hanno mancato l'obiettivo clamorosamente. L'intervento del G20 e dei cosidetti BRICS è la fine dell'indipendeza e dell'orgoglio europeo: diventiamo un continente economicamente marginale ed indebitato, incapace di competere in modo partiario con le economie emergenti che presto inevitabilmente inizieranno a dettare regole e criteri delle nostre scelte economiche come noi abbiamo fatto con loro per lungo tempo. L'Europa da continente imperialista e conquistatore si sta trasformando in terra di conquista e sembra che nessuno o niente possa invertire o per lo meno attenuare questa tendenza. L'incapacità dell'Europa di risolvere da se i propri problemi probabilmente è l'inizio dell'aggravarsi di un processo cominciato già con la fine della Seconda Guerra Mondiale e con la Decolonizazione ma che negli ultimi tempi appare sempre più rapido e ineluttabile.
Nei prossimi giorni o nelle prossime settimane la Grecia farà crack dimostrando al mondo ciò che già si sà, l'Europa unita è troppo debole per siedere al tavolo dei "Grandi" della Terra. La Grecia cadrà ma i problemi resteranno immutati, anzi aggravati ulteriormente, spetterà alle future generazioni provare una lotta disperata per cambiare un futuro di marginalità che oggi sembra inevitabile. Per l'Italia si aprono tempi difficili, senza più il tabù del default, con un governo debolissimo, un Europa indebolita, un prestigio nazionale ormai ai minimi storici e un debito pubblico fuori controllo l'Italia rischia di non riuscire a far fronte ai propri impegni- Sarebbe non solo un disastro per noi ma probabilmente la fine del grandioso progetto di unificazione europea iniziato più di cinquant'anni fa, ma questa è solo un'opinione.

A volte tornano: la legge "ammazza blog"

A volte tornano, in Italia quasi sempre: la maggioranza prova nuovamente a ripoporre il DDL intercettazioni, che, tra le altre cose, rischia seriamente di rendere impossibile fare informazione indipendente sulla rete. L'obbligo di retifica anche per blog e per siti internet strangola e uccide la capacità della rete di poter offrire notizie e punti di vista nuovi e differenti, anche se ovviamente non sempre attendibili e veritieri. Ma è proprio nella sua ricchezze e frammentazione che la rete è diventata nel tempo uno strumento non solo d'informazione ma di educazione alla complessità per l'opinione pubblica: in rete non si trovano facili risposte e ci sono contenuti totalmente contradditori fra loro, sta al lettore distinguere e riuscire a farsi, nel bene e nel male, una propria opinione. Questa è la ragione di questo DDL e di questa proposta, fermando la libera espressione sulla rete si blocca un canale d'informazione sempre più importante, soprattutto per i giovani, totalmente indipendente e senza padroni. Per un governo in crisi di popolarità ma che controlla ampie fette dell'informazione pubblica e privata questo è un pericolo intollerabile e minaccioso a cui porre un freno. Se esiste un problema nell'informazione di questo paese è il gigantesco conflitto di interessi di Silvio Berlusconi, la qualità e l'imparizialità dell'informazione pubblica ormai scesa ai suoi minimi storici, e una serie di programmi tv che forniscono modelli stereotipati e concorrono all'instupidimento del paese. Bisogna nuovamente fermarli perché ancora una volta la politica attacca la parte più attiva e sana del paese senza far nulla per quella malata e dannosa, ma questa è solo un'opinione.

sabato 24 settembre 2011

La fine di Israele?

La richiesta di un riconoscimento da parte dell'ONU dello Stato palestinese con i confini precedenti alla guerra dei 6 giorni e con capitale a Gerusalemme pone in evidenza la pericolosa situazione in cui ormai si trova Israele. Secodo i pronostici l'assemblea generale voterà a favore ma poi la decisione verrà bloccata al consiglio di sicurezza dagli USA. Malgrado questo, la notizia è comunque enorme, anche perché passa di fatto senza passare da un processo di pace bilaterale, evidentemente i palestinesi si sentono così forti internazionalmente da potersi permettere un appoggio anche senza aver firmato una road map per un processo di pace con Israele. In realtà questa situazione + dovuta più che ad una crescita della forza dei paelstinesi all'estrema debolezza di Israele che forse per la prima volta dal 1948 vede i presupposti per mettere in dubbio la sua stessa esistenza. Questo risultato è il frutto della politica miope e arrogante della destra israliana che ha isolata internazionalmente il paese e ha reso inaccettabile la sua presenza alla maggioranza dei paesi vicini. Il responsabile di questa situazione ben si incarna nell'attuale premier Netanyahu, per molti responsabile sia del fallimento del processo di pace nella seconda metà degli anni '90 sia dell'attuale disastro diplomatico israliano. I pilastri della rete che nel tempo Israele era riuscito a costuirsi in medio oriente e in occidente appaiono vanificati, la Turchia è apertamente ostile, in Egitto il governo amico di Mubarak è stato travolto e il futuro dei rapporti tra le due potenze regionali si prospetta sicuramente più teso, la tregua armata con la Siria è messa in forse, in Libano gli Hezbollah sono sempre più forti, in palestina l'influenza di Hamas e in crescita e i rapporti con USA e Europa sono ormai piuttosto freddini. Se verso fine degli anni '90 dopo quarant'anni di conflitti, la maggior parte delle opinioni pubbliche dei paesi arabi era disposta di fatto ad accettare l'esistenza di Israele e la sua presenza in medio oriente, la politica aggressiva ed arrogante degli ultimi anni ha fatto tornare l'idea di cancellare l'esistenza dello stato di Israele. Tutto questo non prelude a tempi facili e pacifici per gli israliani e per l'intero medioriente, ma se Israele non cambierà immagine e riuscirà con molto umilità a farsi perdonare la politica dissennata degli ultimi anni difficilmente potrà garantirsi un futuro, ma questa ovviamente è solo un'opinione.

La sciatteria e l'ignoranza di fronte alla ricerca

Sul web e nella comunità scientifica il comunicato stampa della Gelmini sul "tunnel che collega Ginevra con il Gran Sasso" è già leggenda. Altro che grandi opere mai realizzate, questo tunnel, costuito in gran segreto e all'insaputa della comunità scientifica, è un'opere che sarà ricordata in eterno, e chissà che un giorno non si possa adattare alla TAV. Peccato che ovviamente questo tunnel non esista e che per di più non servirebbe a nulla dato che i neutrini interagiscono pochissimo con la materia baronica, il senso della "caccia ai neutrini" e l'importanza degli esperimenti del Gran Sasso è proprio nella sfuggevolezza del neutrino. Ora non è necessario per forza che il ministro dell'Istruzione e della Ricerca conosca la fisica e le sue leggi, ma almeno lei, o qualcuno del suo staff, si dovrebbero informare prima di emettere un comunicato di congratulazioni per quella che forse è la scoperta scientifica del secolo. La sciatteria con cui viene trattata la scienza e la ricerca in generale in questo paese oltra ad essere triste e inaccettabile, è indegna per un paese avanzato. L'ignoranza sbandierata e di cui ormai non si vergognano più politici e opinion leader getta una luce sinistra su chi ci governa e su chi dovrebbe essere d'esempio per l'intera comunità nazionale. La vara notizia di ieri che ha quasi del miracoloso è che ricercatori e scienziati del nostro paese riescano ancore ad essere competitivi a livello globale e fare esperimenti, ricerche e scoperte all'avanguardia malgrado i tagli selvaggi alla ricerca e il clima di totale disinteresse e di malcelato disprezzo per la scienza e la cultura non solo da parte di buona parte delle istituzioni ma della gente. Oggi dire che uno fa ricerca all'università è simbolo di lavoro precario, poco pagato, "sfigato", avendo fatto il dottorato purtroppo lo so bene. Malgrado tutto questo esistono ancora piccoli nuclei di ricercatori delle scienze naturali come di quelle umane che stoicamente fanno bene il loro lavoro, talmente bene da riuscire a fare scoperte interessanti in uno degli ambienti più competitivi al mondo. Quando questo paese inizierà  a capire che per una nazionae del mondo avanzato la ricerca rappresenta il futuro. Quando le persone comprenderanno che solo con la ricerca e la cultura in un paese come l'Italia può rimanere nel club delle nazioni che contano. Quando chi lavora duramente nella ricerca con un lavoro spesso oscuro e quotidiano, che non porta solo a brevetti e soluzioni tecniche, ma lustro e rilevanza del nostro paese, avrà un riconoscimento non solo economico ma anche e soprattutto sociale della propria importanza. Anche da questo dipende il futuro del nostro paese, e francamente è inaccettabile continuare ad essere guidati da politici ignoranti e totalmente disinteressati alle mete più alte e ambiziose che un paese moderno ed avanzato dovrebbe porsi, ma questa è solo un'opinione.

venerdì 23 settembre 2011

L'impotenza di fronte al baratro

Due interventi di oggi sanciscono l'incapacità della società civile e dei cosidetti "poteri forti" di  influire sui processi politici e decisionali del nostro paese.
Emma Marcegaglia oggi ha lanciato l'idea di un "manifesto per salvare l'Italia", presa di posizione forte ma che certifica l'impotenza degli imprenditori di influire sulle decisioni politiche e del "palazzo". La classe imprenditoriale italiana che troppo spesso a chiuso gli occhi di fronte alla perdita di competitività del paese e al malgoverno degli ultimi quindicianni, si scopre ininfluente di fronte a forze politiche indifferenti alle pressioni e ai moniti che le vengono sempre più spesso posti. L'idea del manifesto, così inusuale per Confindustria, che dovrebbe avere ben altri canali e metodi per esercitare pressioni su chi governa, appare invece come un manifesto dell'impotenza e dell'incapacità da parte degli industriali di far sentire la propria voce a chi governa.
L'altro intervento interessante di quest'altra giornata campale è quello postato sul suo blog da Beppe Grillo, come noto catalizzatore e ideatore del Movimento 5 Stelle, che insieme al Popolo Viola, sono di fatto le due espressioni della società civile di maggior successo degli ultimi anni. Ebbene Grillo nel suo "comunicato politco numero quarantasette" appare, forse per la prima volta pubblicamente, stanco e sfiduciato di fronte all'incapacità del suo movimento di influire su una classe politica arroccata a difesa delle proprie posizioni e di non avere avuto altre vittorie se non riuscire a mettere in qualche consiglio comunale e religionale dei cittadini estranei alle forze politiche tradizionali. La crisi della società civile italiana è evidente, se si pensa all'incapacità di fronte alla grave crisi morale, politica ed economica in cui versa il paese, di costuire grandi adunate di persone o di riuscire a passare dal movimento ad organizzazioni più strutturate e stabili.
L'incapacita di far sentire la propria voce da parte degli industriali e della società civile in un momento di grave crisi politica, economica e sociale dell'Italia è un fatto preoccupante e gravissimo. L'opinione pubblica del paese forse si sta svegliando dal torpore, ma non appare avere ancora, almeno nei grandi numeri, la capacità e la voglia di reagire.
Il paese è ormai sull'orlo di un baratro, anzi forse ci stà già precipitando dentro, ma nessuno appare in grado di fermarne la caduta: la classe politica arroccata nel palazzo incapace di reagire e mettere in campo un progetto per risanare un paese, i movimenti e le associazioni di categoria ad oggi non sembrano in grado di mobilitare efficaciemente il paese e di influire concretamente sulla politica. Purtroppo la strategia del "muro di gomma" attuata da parte della politica, maggioranza ed opposizione, appare essere efficace a disinnescare il pericolo di un risveglio del paese. Purtroppo si tratta di una strategia utile solamente a far guadagnare tempo all'attuale classe politica ma è estremamente dannosa per un paese che avrebbe bisogno di una nuova classe dirigente, di nuove idee, di nuovi traguardi e obiettivi, un'opinione che per ora però appare diffusa solo in una minoranza del paese.

Verso un cambio di paradigma?

Questo post esula dagli argomenti di questo blog ma le ricadute della scoperta che i neutrini viaggiano a velocità superiori a quelle della luce potrebbero essere enormi e rappresentare uno di quei passaggi epocali in cui si rimette in discussione l'intera teoria cosmoligica e la nostra rappresentazione del mondo.
Malgrado sia ancora incerta l'entità della scoperta, le ripercussioni per la nostra visione del mondo potrebbero essere minime o enormi, solo i progressi futuri della scienza potranno darci una risposta. Che si tratti di un qualcosa talmente inaspettato lo testimoniano bene le reazioni dei matematici e dei fisici: basti pensare alle reazioni diametralmente opposte di due tra i più popolari e conosciuti divulgatori scientifici italiani, Margherita Hack e Piergiorgio Oddifreddi. La prima ha commentato la notizia dicendo che "è una rivoluzione", il secondo sul suo blog ha minimizzato la portata della scoperta e sostenendo che è solo un piccolo aggiustamento del limite massimo della velocità possibile teorizzato dalla nota teoria della relatività ristretta.
A prescindere dalle implicazioni scientifiche, che esulano dalla competenze di chi scrive questo blog, vi sono delle conseguenze culturali non indifferenti implicite in questa notizie.
Negli ultimi ottant'anni, anche se con alcuni aggiustamenti, la nostra visione del cosmo e dell'universo in cui viviamo è stata sostanzialmente quella teorizzata da Einstein, ora forse ci troviamo all'inizio di quei cambiamenti di paradigma teorizzati dal filosofo della scienza Thomas Kuhn. Effettivamente negli ultimi anni si stanno accumulando dati ed elementi che non sono del tutto compatibili con il modello della relatività, si tratta di una rivoluzione o di un'aggiustamento? Ad oggi nessuno può dirlo e forse, come sostiene tra gli altri il fisico Leonard Susskind, non riusciremo mai a capire le regole del mondo che ci circonda. La relatività e l'indeterminatezza che sono i caratteri non solo della fisica contemporanea ma anche della nostra cultura e del nostro tempo hanno forse intaccato il principio fisico che iniziò a sgretolare le fiduciose certezze del positivismo, lasciandoci così senza una chiara e coerente visione del mondo, ma questa è solo un'opinione.

giovedì 22 settembre 2011

Una tragica farsa

La tenuta della maggioranza del premier Silvio Berlusconi è sempre più una tragica farsa. Il voto di Milanese certifica l'incapacità del nostro parlamento di porre fine ad un governo agonizzate il cui unico obiettivo ormai è salvare se stesso e la maggioranza che rappresenta il più a lungo possibile. Non c'è più speranza di vittoria per SIlvio Berlusconi, la sua "guerra" contro la magistratura e l'Europa volge al termine, lasciando soltanto rovine che sarà difficile e lungo risanare. L'unico voto ormai utile e che compatta la maggioranza è quello dettato dal salvar se stessa, nessun altro provvedimento ormai è possibile. Silvio Berlusconi non ha nulla da guadagnare a dimettersi, in questo momento: se lasciasse la poltrona di comando non avrebbe più nessuna possibilità di fermare, o almeno rallenntare, i numerosi fronti giudiziari che ormai lo circondano da tutte le parti.
Anche la maggior parte dei parlamentari di PDL e Lega non ha nulla da guadagnare da una caduta di Berlusconi e dalla fine della Seconda Repubblica. La maggioranza è composta ormai per lo più da clienti di Berlusconi, politicamente creati da lui e che non hanno molte altre capacità oltre a quella di saper stare all'interno della corte berlusconiana. Difficilmente chi milita ancora nel PDL avrà la forza, il coraggio e la capacità di uscire dalla cerchia dei fedelissimi. La storia ci insegna che quando un regime si disgrega per interesse o per opportunismo finché il leader vive attorno a lui la resistenza continua. Le grandi tradizioni politiche repubblicane, e i loro rappresentanti in parlamento, sono ormai tutte all'opposizione, chi è rimasto è evidentemente figlio e prodotto di questa malata Seconda repubblica.
L'opposizione appare inconsistente moralmente e politicamente come dimostra l'incapacità di reazione pubblica del PD e della scelta quantomeno inopportuna di Di Pietro di candidare suo figlio.
Movimenti come quello 5 Stelle o dei Viola appaiono fenomeni interessanti e portatori di richieste sane e sacrosante da parte di cittadini giustamente indignati, ma purtroppo per ora non riescono ancora a coinvolgere masse critiche della popolazione.
E in questo immobilismo il paese sta perdendo l'occasione di riscattarsi e cominciare un percorso nuovo e virtuoso per tornare una delle grandi nazioni europee.
Che cosa si può fare di fronte a tutto questo? Bisogna battersi, bisogna tornare in piazza a prescindere dal proprio credo politico per dire basta con questa politica, basta con questo modello di sviluppo del paese. Questa crisi è una grande occasione per ricostruire il nostro paese e risolvere i suoi gravi problemi. Ma finché milioni di persone non saranno disposte a mostrare al palazzo, con le buone o col le cattive, che i tempi dei giochetti sono finiti, che gli equilibri sono cambiati, che  i cittadini si riappropiano del proprio paese non andremo da nessuna parte, ma ovviamente questa è solo un'opinione.

Tremonti non si presenta alla camera per votare su Milanese... scandalo?

La scarsa cultura civica e legale di una parte della classe politica italiana ben si vede nella polemica scatenata da alcuni esponenti del PDL sull'assenza ingombrante di Tremonti nel voto della camera sulla richiesa di arresto per Marco Milanese . La colpa di Tremonti sarebbe quella di non essersi presentato in aula a difendere il proprio ex braccio destro, ma si tratta di una colpa? A prescindere dai rapporti tra Tremonti e Milanese, non è normale in un paese civile che ci si allontani da chi è anche solo accusato di reati gravi come corruzione, rivelazione di segreto d'ufficio e associazione per delinquere. E' cosi anormale evitare l'eterno valzer di scambi di favori e della logica del io copro te che tu copri me, purtoppo molto italiana. Di fronte ad accuse così gravi la politica dovrebbe sospendere il suo giudizio su Milanese e non chiudersi a quadrato difendendo l'accusato dal "mondo esterno", che per inciso siamo noi, la società italiana. Questo caso, a prescindere dalle persone coinvolte e dalla loro onestà o colpevolezza, getta una luce sinistra sui vizzi della nostra classe politica. La difesa di interessi e di categoria deve finire, chi sbaglia e viene giudicato da tribunali indipendenti e con tutte le garazie costituzionali, deve pagare non solo in termini di pene ma anche di isolamento sociale, specie se si tratta di un politico. Nell'attesa di un giudizio definitivo non è possibile ostacolare il corso della giustizia per un'interesse corporativo, queste non sono le regole democratiche e di trasparenza necessaria ad un grande paese europeo. Risollevare la questione morale è una necessità, se si vuole finalmente cambiare questo paese, ma questa è solo un'opinione.

mercoledì 21 settembre 2011

La giusta rivolta degli immigrati

Le dicharazioni riportate dalla stampa del sindaco di Lampedusa di fronte alla rivolta dei CIE appaiono completamente estranee ad un paese civile. Come infatti hanno testimoniato le poche inchieste sui CIE, l'accoglienza che il nostro paese riserva a chi sbarca clandestinamente sulle nostre coste è inumana. Non ci si può aspettare che esseri umani scappati dalla miseria e dalla povertà con l'idea di garantire a loro stessi e ai loro figli un futuro migliore non provino a fuggire o a ribellarsi quando si decide deliberatamente di ostacolare il loro futuro e il loro avvenire. Sono persone che hanno investito tempo, denaro, risorse per superare il mare e venire nella "fortezza Europa" per lavorare e continuare a sognare. La questione dell'immigrazione è complessa e non può essere risolta con semplici buonismi o con pugni di ferro ridicoli di fronte ai grandi flussi della storia, ma dichiarazioni così dure da parte di un sindaco eletto in una terra la cui principale esportazione fino a cinquant'anni fa erano esseri umani fa male e deve indurre tutti ad una riflessioni. Quello che non bisogna mai scordarsi è che non si tratta di "tunisini", di "algerini", di "extracomunitari" ma di esseri umani, che pensano, respirano, sognano, si innamorano, si arrabbiano, soffrono e noi spesso più per diffidenza ed ignoranza che per ragioni reali li stiamo trattando come bestie.
Di fronte ad un simile scempio viene anche da chiedersi dove sono i prodi centri sociali e gli autonomi che danno battaglia per la terribile TAV e solo ogni tanto si ricordano e combattono attivamente contro la sofferenza e l'umiliazione che si perpetra contro civili innocenti la cui spesso l'unica colpa è essere nati nel paese o nel continente sbagliati e il cui unico crimine e aver sperato in un futuro migliore per loro e per i loro figli, ma ovviamente questa è solo un'opinione.

Tutti contro Berlusconi

A guardare le prese di posizioni di giornali, sindacati, imprenditori, politici è ormai un tutti contro Berlusconi, viene da dire "finalmente" anche se ovviamente non basta una nuova puntata del costante referendum "cavaliere si, cavaliere no" per risolvere i gravi problemi del paese e per risollevare una società, una politica ed un economia sempre più agonizzati. Tuttavia queste prese di posizione di fronte alla grave crisi in cui ci ha condotto questo ventennio politico, segnato e dominato dall'ingombrante figura di Silvio Berlusconi, ricordano una vecchia piaga dell'establishment italiana: il trasformismo.
Ben vengano gli editoriali del Sole 24 Ore e del Corriere della Sera, ben vengano le dure parole della Marcegaglia, ma viene da chiedersi dov'erano dieci, cinque o soltanto due anni fa quando si preparava il disastro che ormai è sotto gli occhi di tutti. Confindustria e la cosidetta stampa moderata scaricano adesso il Cavaliere, quando ormai il suo regno appare sul viale del tramonto. Ovviamente, per quanto tardivo, ben venga il loro attacco ad un governo e ad un premier che ci ha reso lo zimbello d'Europa, ma produce una certa rabbia pensare che se anche loro si fossero mossi prima, tutto questo poteva essere evitato. L'incapacità al governo di Berlusconi, denunciata più volte dalla stampa estera, in primis dall'Economist, non è una novità degli ultimi giorni, sono anni che si consuma la credibilità internazionale del paese, che non si affronta il capitolo delle riforme, che si assite ad un progressivo abbassamento della soglia delle regole di civiltà e di etica normali in una grande democrazia occidentale. Forse ormai è troppo tardi, ma il fatto che chi ancora può o non è del tutto compromesso si stia schierando contro Berlusconi e ciò che rappresenta e comunque il segno che forse la disastrosa parentesi della Seconda Repubblica si sta chiudendo e che, anche se sarà dura, forse finalmente potremo vivere in un paese normale liberandoci dell'imbarazzante anomalia politica ed istituzionale che ci ha condizionato per quasi vent'anni. In questa situazione così drammatica, ben venga anche il trasformismo, a patto di ricordarsi quando tutto questo sarà finito di chi poteva schierarsi per tempo e non lo ha fatto, ma questa è solo un'opinione.

martedì 20 settembre 2011

Il governo delle agenzie di rating

A sorpresa S&P ha declassato il rating del debito pubblico italiano. Il fatto non stupisce ed effettivamente dal peggior governo degli ultimi 150 anni non ci si poteva aspettare altro. Ma quello che deve spaventarci come europei e come cittadini del mondo è l'ormai indiscusso peso delle agenzie di rating nel derminare il fallimento o l'approvazione non solo di paesi ma di interi continenti. Chi sono queste agenzie? Su che basi decidono di assegnare i loro punteggi? E, soprattutto, quando sono indipendenti dalla grande speculazione internazionale? Sono molti gli economisti che ormai ritengono il sistema finanziario impazzito, il cosidetto libero mercato è sempre più un'utopia molto distante dalla realtà. Nel corso degli anni si sono accumulate tali concentrazioni di ricchezza nelle mani di pochi da permettere attraverso una strategia mirata di vendite ed acquisti di determinare l'andamento stesso del mercato in cui i grandi speculatori investoni i propri patrimoni. Il risultato è che gli speculatori guadagnano sempre e tanto, a patto però che i mercati restino instabili. Ora è noto che lo scorso anno alcuni grandi speculatori hanno visto nello sfaldamento dell'Unione Europea un enorme possibilità di guadagno e da allora gli attacchi ai paesi del Vecchio continente sono stati constanti e ben studiati. La speculazione non è neutra, il mercato non è un giudice infallibile che giudica in modo imparziale ciò che è bene e ciò che è male. Non è possibile che siano le agenzie di rating e la speculazione a decidere se processi storici e politici come l'unificazione europea falliscano o abbiano invece successo. Ad ogni crisi la speculazione diventa più forte e l'economia reale più debole. Tutto questo non è più tollerabile e sostenibile, abbiamo creato un mostro di cui non riusciamo a liberarci. Eppure la soluzione non sarebbe così complicata, gli speculatori controllano il gioco finché si seguono le regole che loro stessi hanno imposto, se ci si libera di esse possono fare ben poco. Se gli stati nazionali volessero attraverso il monopolio della forza legittima potrebbero eliminare la speculazione in breve tempo tramite leggi o il ricorso a ritorsioni ancora più gravi. Manca però la volontà politica di farlo, e guardando alle connivenze della classe politica delle maggiori potenze occidentali con l'establishment economica non c'è da stupirsi. Viene però da chiedersi quando e se i cittadini apriranno gli occhi e chiederanno conto a chi li governa economicamente e politicamente del male arrecato a tanti per il benessere di pochi, ma questa ovviamente è solo un'opinione.

Obama riscopre se stesso

A guardare la proposta di manovra di Obama, appare subito evidente il tentativo del presidente di tornare ad essere l'outsider riformista in vista delle prossime elezioni. La richiesta di un equilibrio tra tagli e tassi sui grandi redditi appare sacrosanta agli occhi degli europei, ma non ha quelli di molti americani aizzati e rappresentati dal movimento ultra conservatore dei Tea party. Evidentemente Obama dopo aver provato ogni mediazione possibile si è reso conto che oltre ad un certo limite non è possibile trovare un punto di convergenza con la destra repubblicana il cui unico obiettivo appare quello di disarcionare Obama e di evitare una le riforme necessarie ad un risanamento e un riequilibrio economico del paese. La parte più conservatrice del paese sembra non comprendere, o fa finta di non sapere, che, se si applicassero, le loro proproste economiche probabilmente si rovinerebbe definitivamente la leadership economica e geopolitica degli USA del mondo. Dati gli equilibri al congresso è praticamente impossibile che la manovra proposta da Obama, e sicuramente il presidente ne è ben conscio. Ma per lo meno il tempo delle estenuanti mediazioni è finito, è ora che ognuno metta in campo i propri progetti e la propria visione del mondo, prendendosi le proprie responsabilità nel bene e nel male dei risultati delle proprie politiche e delle proprie idee. La storia insegna che solo costruendo società più equee e con uno stato forte, anche se non troppo, si può aspirare al titolo di grande potenza mondiale, rinunciarvi e lasciare ogni decisione al mercato può portare solo al fallimento, ma questa è solo un'opinione di un giovane europeo.

lunedì 19 settembre 2011

Elezioni Danimarca e Berlino

Un segnale importante viene all'Europa dalle recenti tornate elettorali di Danimarca e Berlino. In entrambi i casi hanno vinto le forze progressiste su quelle conservatrici, in entrambi i casi la maggioranza dei cittadini ha chiesto più stato e meno mercato, più sicurezza e meno disuguaglianza sociale. Sono segnali importanti perché mostrano come forse la maggior parte dei cittadini europei si stia orientando verso politiche keynesiane e riformiste per uscire dalla crisi. Anche l'apertura della Merkel ai piani di salvataggio dei cosidetti PIIGS è un segnale forte da parte del cancelliere più euroscettico che la Germania abbia mai avuto dal dopo-guerra ad oggi. I cittadini di Berlino hanno dato un segnale forte, premiando i partiti dell'opposizione e punendo il partito liberale con la sua politica neo-conservatice e di nazionalismo monetario. Ma Berlino è solo una città e i dati nazionali non sono confortati per la tenuta della solidarietà europea se come ha mostrato il sondaggio effettuato per conto di Bild il 40% dei tedeschi sarebbe disposto a votare una nuova forza politica euroscettica. Malgrado le incognite e i pericoli che gravano sul nostro futuro di europei la vittoria in Danimarca e a Berlino delle forze progressiste sono un chiaro segnale su quali siano oggi le aspettative di molti europei, compito della politica non deluderle e rafforzarle, ma questa è solo un'opinione.

Due strade per uscire dalla crisi

In questi giorni si stanno profilando chiaramente due scenari sulle strategie possibili per l'uscita dell'Italia dalla situazione attuale. La prima proposta da alcuni autorevoli economisti ed intellettuali è quella di una drastica riduzione del debito con una sorta di "super patrimoniale" di qualche centinaio di miliardi di euro, la seconda è quella richiamata dalla Lega Nord di una secessione della parte produttiva e più ricca dal resto del paese. Inutile dire che la seconda soluzione sarebbe drammatica sia per il sud e centro Italia, che senza il motore economico del Nord sarebbero quasi certamente condannati ad un lungo periodo di insabilità e ristrettezza economica, sia per il Nord che a fronte di un'aumento della propria richezza perderebbe peso politico ed economico non solo all'interno dell'UE ma a livello mondiale. L'ipotesi di una secessione del Nord purtroppo oggi non è più un'idea di pochi, e basta conteggiare i voti raccolti nelle ultime elezioni dalla Lega Nord nell'area Settentrionale del nostro paese, per rilevare come oggi essa potrebbe diventare qualcosa di più di uno slogan elettorale. La questione è quindi preoccupante, anche perché la prima soluzione, quella della "super patrimoniale", può essere fatta solo in un clima di forte coesione politica e sociale del paese, situazione che attualmente non solo non c'è ma appare di difficile realizzazione in un prossimo futuro. Il miglior modo di difendere noi stessi e la nostra comunità dalla crisi è quello di essere coesi, di abbandonare particolarismo e recriminazioni, di unirci nello sforzo comune di salvare il nostro paese e l'idea stessa di Europa, non tanto per noi ma per i nostri figli e nipoti che un giorno ci chiederanno conto delle scelte fatte in questi anni. I cittadini del Nord devono rinunciare alla facile tentazione della secessione ed essere disposti a rischiare ancora una volta nei vantaggi dell'unità nazionale e quelli del centro e del sud devono capire che lo stato assistenzialista della Prima Repubblica è ormai scomparso, che l'epoca in cui ci potevamo permettere inefficienze macroscopiche e corruzione su vasta scala è finita e che bisogna rimboccarsi le maniche ed investire tempo, risorse ed energie nel futuro del nostro paese, senza ricriminazioni o scuse. Al meridione tocca la parte più difficile del compito con mafie da sradicare, una società civile da ricostruire, un'abitudine al voto clientelare da correggere, un'economia solida tutta da inventare. Solo guardando onestamente i gravi problemi che affliggono il nostro paese potremo trovare la via per uscirne. Se coesione politica, sociale e territoriale terranno riusciremo ad uscire dalla crisi con onore, consegnando alle future generazioni un paese migliore di quello che abbiamo ereditato, se invece prevarranno il sospetto e la difesa dei propri piccoli tornaconti, la frantumazione del paese diventerà una pericolosa realtà, ma questa ovviamente è solo un'opinione.

mercoledì 14 settembre 2011

Verso una svendita del patrimonio pubblico?

Anche oggi parliamo di crisi economica, di rumors sulla manovra finanziaria e sulle scelte che stanno per essere intraprese dal nostro governo per fronteggiare l'enorme debito pubblico che grava sulla vita economica e sociale del nostro paese.
A quanto pare il Tesoro sta per intraprendere una massiccia vendita di partecipazioni statali e addirittura di opere minori del nostro ricco patrimonio artistico. Anche se si tratta di una scelta drammatica, è vero che qualcosa per ridurre il nostro mostruoso debito pubblico deve essere fatta e che, forse ormai l'unica cosa che ci resta è il patrimonio dello stato. Tuttavia bisogna tenere bene a mente che si tratta di beni dell'intera comunità, una ricchezza che appartiene a tutti noi cittadini di questo paese e che per colpe più o meno condivise ora siamo costretti a vendere . Certo nel caso si optasse per una ventita immediata il momento sarebbe quanto meno inopportuno, e il rischio di trasformare la vendita in sventita sarebbe molto alta. Difficilmente di fronte ad un paese attraversato da una lacerante crisi poltica ed economica, sempre più isolato in Europa ed attaccato dalla speculazione internazionale i compratori non approfitteranno della situazione cercando (e temo, ottenendo) prezzi più vantaggiosi in cambio di liquidità immediata. Vi è in più un altro rischio gravissimo: di fronte a vendite così consistenti e con una classe dirigente ormai allo sbando la possibilità di connivenze tra venditore e compratore è alto, magari al prezzo di qualche consulenza dorata o qualche ruolo di prestigio nell'organigramma futuro dell'azienda. Rischio accresciuto dal fatto che a svolgere la vendità sarà una classe politica ormai allo sbando e che vedendo sempre più i propri giorni contati, probabilmente sarà più sensibile all'offerta di un futuro dorato.
Anche se le vendite fossero fatte nel miglior modo e al maggior prezzo possibile, bisogna però essere ben consci che stiamo vendendo l'eredità lasciataci dalla generazioni del dopoguerra, autrice dello spettacolare boom economico che ha permesso il benessere economico diffuso della nostra società. Forse ormai si tratta di una scelta inevitabile, anche perché si vedono poche via di uscita alternative di fronte ad un'economia stagnante e ad un debito pubblico che ormai si aggira attorno al 119% del nostro PIL. Ma se, come oggi sembra apparire inevitabile, la vendita di una parte del patrimonio pubblicio è l'unica via d'uscita, occorerrà accompagnare tale operazione con una profonda riflessione nazionale per non commettere più gli stessi errori del passato. La politica, il sindacato, l'industria e l'intera società dovranno comprendere che un'epoca è finta e che se ne apre un'altra piena di incertezze e di rischi in cui dovremo impegnarci tutti, nessuno escluso, per ricostruire su solide basi l'avvenire economico del nostro paese. Di fronte al fallimento di un'intera classe dirigente che negli ultimi quarant'anni non ha fatto altro che rovinare questo paese, si impone una discontinuità oltre che di facce e di nomi anche di mentalità, non solo nell'establishment ma anche nel cittadino comune.
Se non ci sarà una riflessione ed un cambiamento di rotta netto e chiaro, se il il paese non modificherà la propria cultura economica e le proprie abitudini, ci ritroveremo tra non molto tempo nella stessa medesima situazione, questa volta però senza più l'eredità lasciataci da chi ci ha preceduto, a quel punto la situazione sarà davvero drammatica, ma questa ovviamente è solo un'opinione.

martedì 13 settembre 2011

BTP alla Cina

A quanto pare stiamo cercando di vendere i nostri BTP alla Cina, la solita politica poco lungimirante dei nostri politici, anche se in questo caso siamo in buona compagnia. L'opzione cinese è rapida e veloce ma mettere una parte consistente del proprio debito pubblico nelle mani di una potenza straniera come la Cina avrà nel medio-lungo periodo spiacevoli conseguenze, come ci potrebbero ben insegnare gli americani. Circa il 23% del debito pubblico americano è in mano ai cinesi che quindi hanno il dito sul grilletto di una pistola puntata contro l'economia del loro principale concorrente geopolitico ed economico. In altre parole il governo cinese può quando e come vuole mettere in ginocchio l'economia della (forse ancora per poco) più grande potenza mondiale. Se un presidente liberal come Obama tentenna a vedere il Dalai Lama per paura di danneggiare i rapporti con la Cina questo è un buon indizio da cui partire per comprendere chi esercita il potere e chi lo subisce.
Quando avremo un contezioso economico, politico o sociale con la Cina che cosa faremo se possederanno parte del nostro debito pubblico? Continueremo a poter protestare per le violazioni dei diritti umani nel Tibet? Le nostre aziende potranno continuare a chiedere protezioni rispetto alle contraffazioni cinesi? Dovremo vendere ai cinesi quote strategiche di società come Eni e Enel? E in ultima analisi le scelte del nostro stato saranno davvero libere da condizionamenti esterni? A breve termine non cambierà nulla, ma a medio-lungo periodo che cosa succedera? E' un rischio che siamo disposti a correre solo per salvarci momentaneamente dal fallimento di questo paese e della sua classe dirigente? O è solo l'ennesima ipoteca che poniamo sulle spalle dei nostri futuri figli e nipoti per guadagnare una temporanea salvezza? Per di più tutto ciò non avviene seguendo un progetto chiaro di rilancio del paese ma, apparentemente, solo per trovare soluzioni temporane e tappare alla meno peggio buchi e falle della nostra disastrata economia. Stiamo vendendo il nostro futuro solo per sopravvivere con lo stesso tenore di vita al massimo per qualche altro anno, forse sarebbe tempo di cominciare a riflettere seriamente sull'Italia e sull'Europa di domani, su quale sviluppo pensiamo per il nostro paese e su come tutti noi possiamo partecipare a questa rinascita nazionale, ma questa è solo un'opinione.

lunedì 12 settembre 2011

Si comincia...

Nel giorno dell'ennesimo crollo della borsa, di fronte al fallimento non solo di un paese ma anche di un modello e, forse di una generazione, ho deciso di aprire questo blog, un'idea da tempo accarezzata ma, come tante, mai portata a termine. Ora è il momento. La crisi del nostro tempo è drammatica, non solo per l'evidente crisi economica ma per qualcosa di più grave e preoccupante: l'assenza di idee e di nuove proposte. Dove sono gli intellettuali, dove i pensatori che potrebbero indicare nuove forme di economia, di sviluppo, di vita? Manca pensiero, mancano risposte. Questo blog nasce senza nessuna pretesa, dall'idea di un giovane dottorando in scienze sociali e politiche di provare a comunicare a qualcuno idee, riflessioni, analisi di un giovane cittadino sul proprio tempo. In questo blog proverò a mettere a frutto i miei ventun anni di studio, in fondo forse alcune delle idee e delle riflessioni che ogni giorno popolano la mia mente hanno un qualche valore, ma ovviamente questa è solo un'opinione.